• 20 MAG 15

    La distruzione di Pompei: Eruzione del Vesuvio

    La vita a Pompei correva normale e serena, nessuno immaginava la terribile eruzione del Vesuvio che avrebbe portato alla distruzione di Pompei. Tutte le attività fervevano, la città era attiva e spensierata in quell’ottobre del 79 d.C., mentre a Roma l’imperatore Tito portava avanti il suo governo (Svetonio lo definisce “amore e delizia del genere umano”) dopo aver conquistato Gerusalemme e distrutto il tempio.

    Eppure avvisaglie del disastro c’erano state: solo una quindicina di anni prima – nel 62 – Pompei era stata colpita da un terribile terremoto, i cui segni ancora erano presenti in città al momento della finale distruzione. Pompei era allora un grande cantiere, in cui si lavorava alacremente a restaurare edifici pubblici e privati e al momento della definitiva distruzione i monumenti del Foro erano tutti ancora chiusi.

    Tutto iniziò quando la mattina del 24 agosto (ma alcuni parlano di ottobre) gli abitanti della città videro una grande nuvola a forma di pino che usciva dal cratere del Vesuvio. Ancor oggi chi visita la città può vedere vicinissimo il grande vulcano, e dal Foro la prospettiva è diretta, immediata. Verso le 10 del mattino ci fu una terrificante esplosione: il tappo di lava che ostruiva il cratere saltò in aria, dove si frantumò in lapilli, la cui pioggia cadde senza scampo sulla città e su un territorio con un raggio di 79 chilometri. I lapilli sono di pietra pomice, e sommersero la città per un’altezza di quasi 3 metri. La pioggia durò fino al 28 agosto, accompagnata da esalazione di gas venefici, da cenere e da continue e terribili scosse di terremoto che raggiunsero Nola, Napoli e Sorrento.

    Già nel primo giorno si consumò però la tragedia dei pompeiani, molti uccisi dai gas velenosi che li colsero nella folle corsa verso la salvezza, come mostrano i calchi in gesso ricavati dagli archeologi. Sono queste le più terribili testimonianze della tragedia. Quando i lapilli si solidificarono, i resti umani scavarono una specie di bolla con la decomposizione, bolla riempita di calce dagli archeologi che così hanno potuto recuperare queste testimonianze. Molti altri abitanti finirono schiacciati dai tetti delle case crollati per la coltre di lapilli depositata.

    Ercolano fu distrutta invece da una valanga di  fango formato dalla cenere eruttiva, fango che coprì la città per venti metri.

    Migliaia furono i morti di Pompei, e la popolazione sopravvissuta fu costretta a fuggire e a non tornare mai più. L’imperatore Tito mandò un’ispezione che però poco riuscì a fare. Pompei era scomparsa per sempre, e con lei i suoi abitanti. Solo 1700 anni più tardi, per caso, la sua memoria emerse dalle terre coltivate che erano cresciute sull’antica città. E ora è lì, ad aspettare che nuovi abitanti di un giorno la popolino alla ricerca del passato scomparso.

    La lettera di Plinio

    Ma dell’eruzione del Vesuvio abbiamo una straordinaria testimonianza, quella di Plinio il Giovane, che narra in due lettere a un destinatario d’eccezione, lo storico Tacito, quello che accadde e che costò la morte  a un martire della scienza, lo zio Plinio il Vecchio, grande naturalista, che era accorso sul posto per verificare con la sua presenza gli straordinari eventi naturali. Nella prima lettera il Giovane spiega la morte dello zio, che residente in Campania aveva visto la nuvola sorgere spaventosa dalla cima del vulcano e aveva attrezzato delle navi per accorrere il più vicino possibile e salvare alcuni amici che avevano delle ville nell’area. Ma raggiunta Stabia non era riuscito più a scappare per le condizioni del mare ed era morto sulla spiaggia colto da esalazioni venefiche.

    Nella seconda lettera Plinio il Giovane narra della sua fuga da Miseno, colpita da terremoti e con il cielo spaventosamente coperto dalla nuvola di cenere e lapilli, tanto che sembrava notte. Dopo qualche ora di fuga  e terrore finalmente la nube iniziò  a diradarsi e il cielo lentamente a rischiararsi. Il disastro era terminato, ma tantissime vite e alcune città erano scomparse dalla faccia della terra.